C’era una volta…il carnevale a Paternò
di Pippo Virgillito
Agli inizi del secolo a Paternò si celebravano numerose feste, sacre e profane.
Lo scrittore Carmelo Ciccia, nostro concittadino, a tal proposito, ha scritto che ci fu un tempo in cui, data la frequenza e la grandiosità delle feste, si sentì il bisogno di nominare addirittura un assessore ai festeggiamenti!
Tale tradizione festaiola, che aveva la massima espressione, per la festa profana, in Carnevale, col mutare dei costumi e delle abitudini e soprattutto con l’attecchire, nella società moderna, della malapianta della delinquenza, ha intrapreso da tempo la via del tramonto, lasciando molta nostalgia a chi ora non è più tanto giovane!
Allora, quando la vita era più a misura d’uomo, la nostra Paternò era conosciuta Ovunque oltre che per il “sanguinello” anche per la baldoria del suo Carnevale che, irrevocabilmente, prendeva il via dopo l’Epifania e durava un mese e passa fino alle Ceneri.
Ad eccezione del periodo relativo alla prima e seconda guerra mondiale Paternò contava una tradizione che riusciva a competere con la vicina Acireale fino agli inizi degli anni settanta ed anche oltre; i balli in piazza e nelle pubbliche vie principali, una gioia di vivere, la spensieratezza collettiva, la valenza delle maestranze nell’addobbare i carri allegorici o le macchine infiorate, fecero si che il Carnevale paternese fosse più avvicinato alle tradizioni di Viareggio ed in ogni caso gli diedero l’appellativo del più bello, del più gaio, del più divertente, del più popolare Carnevale di Sicilia!
Subito dopo l’Epifania la via principale registrava le presenze delle prime maschere più significative del Carnevale, Pulcinella, Arlecchino, Pierot; tanti giovani e vecchi si vestivano con abiti e maschere tali da non farsi riconoscere e spesso si fermavano in piazza a dar spettacolo…; tra le persone meno giovani c’erano, indimenticabili, alcuni protagonisti tipici del luogo, don Paolino Giusa, Don Emanuele Lo Faro, don Luigi Tomasello, lo spaccapietre inteso l'”avvocato”,… un trio che durante il Carnevale mostrava brio e spensieratezza per le vie della città! Per i giovani i più facinorosi erano gli studenti universitari che annunziavano il Carnevale in occasione della festa della matricola subito dopo l’Epifania.
La pista da ballo erano le piazze principali, piazza Indipendenza, piazza Quattrocanti, piazza S. Giovanni, piazza S. Antonio Abate o Vittorio Veneto, il corso principale – ‘a strata ritta-, mentre la città faceva “toletta” per accogliere in festa i numerosi forestieri che, con ogni mezzo, ivi compreso il servizio pubblico della Circumetnea, da tutti i centri della provincia di Catania, raggiungevano Paternò per fare “quattro salti” in compagnia, per dimenticare i propri guai, coinvolti dalla spensieratezza che il Carnevale loro destinava nella via principale o in piazza Indipendenza, nei pressi del caffè Grasso o di fronte al bar Platania .
Nelle ultime sere non c’era più a terra “una basola di pietra lavica” libera per accogliere dame e cavalieri danzanti sotto una pioggia di coriandoli multicolori, spensierati oltremodo, nella più gaia liceità… Semel in anno licet insanire!
Agli inizi degli anni trenta, quando il primo premio per il carro allegorico era di novecento lire, la musica era quella dei dischi grammofono, utilizzato dall’antico caffè Caserta, in piazza Vittorio Veneto, e successivamente messa a disposizione da artigiani del settore, come Luigi Castelli o Vito Giuffrida, per conto dell’Amministrazione Comunale, in tutte le piazze e la via principale, con altoparlanti installati nei balconi dei privati.
La musica ed i balli, allora, accomunavano tutti, poveri e ricchi, paternesi e forestieri, straccioni e nobildonne, giovani ed anziani, mascherine e “criate” (donne vestite da serve), dame e cavalieri, tutti insieme, sotto il simbolo della spensieratezza, del divertimento, della gioia di vivere, attimi in cui ci si divertiva “burlando” anche chi non ballava, coinvolgendolo spesso ad essere trasportato dal gruppo che festeggiante serpeggiava tra la folla nella via principale fino alle Palme o piazza S. Giovanni, ultimo avanposto ove l’altoparlante ti inseguiva con la musica premiata dall’ultimo Festival di Sanremo!
Nelle ultime sere c’era la “sfilata” delle macchine infiorate, allestite dai fiorai Antonino Asero, Gaetano Meci, Antonino Abate e da tanti, tanti altri valenti artigiani del fiore.
Ed infine i carri allegorici partivano maestosi dal giardino pubblico -villa Moncada- nel presto pomeriggio per raggiungere la piazza Indipendenza, colma di gente fino all’inverosimile, a tarda sera inoltrata, mentre la Via principale, assiepata di spettatori, viveva il ritmo travolgente della pazza gioia.
Erano tempi dei valenti artigiani del carro allegorico, quali Santo Fallica, Vincenzo Di Martino, Giosuè Gulisano, Nino Caliò, Chiantello, Virgillito, Ronsivalle, Barbaro Messina, i quali si servivano anche della opera di valenti artisti come Giuseppe Fallica Impallomeni, Giuseppe e Beniamino Carmeni, Giovanni Verna, Carmelo Navarria, Salvatore Gulisano, Giuseppe D’Ignoti, Adamo Impallomeni, Pietro Russo, e tanti altri altri ancora…! Il loro agonismo riusciva a creare veri capolavori di carri allegorici anche se nel 1946 il primo premio era appena di £. 50.000 !
Nella baraonda del Carnevale i gruppi in maschera erano fiori all’occhiello della città!
I festeggiamenti spesso sono stati ripresi da documentari filmistici del tempo, quali: la settimana INCOM; Film Luce; Ieri oggi e domani e nel 1963 dal regista Ermanno Olmi, in occasione del film “I fidanzati”.
Il carnevale paternese era pure attenzionato da molte riviste italiane, come : ABC – Tempo – Epoca – Cronaca vera – oltre che da quotidiani regionali, provinciali e locali.
Alla mezzanotte che precedeva le Ceneri il carro allegorico, allestito dai cantonieri comunali, simboleggiante il Re Burlone, veniva letteralmente “bruciato” in piazza, tra i pianti “di morte” degli insaziabili festaiuoli del tempo!
Dalle ultime faville del Re… in fumo, ecco spuntare i bagliori della tristezza, della nostalgia dell’ultimo frenetico ballo, dell’ultima tenera carezza di una “mascherina” di cui hai assaporato la gioia della spensieratezza, hai annusato il profumo della “violetta”, hai accarezzato il corpo… il cui viso non conoscerai giammai…!
Cadono a terra gli ultimi coriandoli e con essi la nostalgia di un tempo che ormai non è più!
Dopo l’ultima baldoria di mezzanotte finiva la festa del rinnovamento sociale, la società ritornava come prima; i ricchi proseguivano a fare i ricchi ed i poveri restavano poveri…, sicché i primi raggiungevano i circoli privati o i pubblici locali per proseguire i loro balli, quasi a rincorrere le ultime note musicali, foriere d’allegria e spensieratezza, fino alle prime luci del giorno; i poveri, viceversa, rientravano a casa a dormire per ripresentarsi, all’alba, nella stessa piazza… in cerca di lavoro; in quella piazza dove vi era stato prima il rogo di Carnevale, contornato da una infernale sarabanda di maschere che danno l’ultimo addio alla spensieratezza, l’umile netturbino spazza i coriandoli in fretta perché già le campane della Chiesa del Monastero annunciano alle donne la sacralità delle Ceneri.
E mentre il bracciante si avvia verso i campi, i tre artigiani che hanno creato le prime maschere buffe della città (don Paolino Giusa, Don Emanuele Lo Faro e don Luigi Tomasello – lo spaccapietre inteso “l’avvocato”) ritornavano al “lavoro usato” programmando per il prossimo anno!Adesso anche quelle maschere “buffe” sono morte, i loro animatori hanno raggiunto l’altro mondo, così come passava all’altro mondo il giovane Giuseppe D’Angelo negli anni ottanta, abbattuto dalla lupara ad opera di una mano assassina, rimasta a tutt’oggi impunita!
In quel periodo che precedeva il Carnevale vi fu il lutto cittadino, a causa della malapianta malavitosa, e con esso iniziò il declino di una festa profana che difficilmente ritornerà agli albori di un tempo che ormai non è più!
Dopo alcuni anni, in un clima di austerità economica, il Carnevale dei grandi è uscito di scena per dare spazio a quello dei bambini in atto in ascesa.
Sono riapparse le macchine in fiori, tra rimpianti e nostalgia; si sono visti sfilare lungo il Corso Vittorio Emanuele, i carri allegorici, predisposti da nuovi valenti artigiani; si sono moltiplicati i gruppi in maschera ma ancora gli anni migliori del Carnevale restano quelli di una volta!
Spetta ai giovani adesso fare scattare la molla della gioia di vivere, l’allegra spensieratezza di un tempo in una città ove la crisi è sempre dietro l’angolo; i gruppi in maschera, i carri allegorici, le macchine infiorate, non bastano da soli a far rivivere il Carnevale di una volta; bisogna che in ciascun giovane attecchisca il fiore della vita, della gioia di vivere, dell’esigenza di stare insieme, del semel in anno licet insanire!
Solo allora ritornerà quel mondo di fiaba, fatto anche di languide carezze e sospiri d’amore!
Pippo Virgillito